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La contingenza, un aspetto

È un po' di tempo che questo pensiero mi frulla nella testa ed ogni occasione, anche il dettaglio più piccolo me lo ridesta. Così oggi, constatando tristemente il fatto che sono solo le 17 ma si è fatto già buio, e il buio non è la premessa della luce ma la fine della luce, prendo atto che il buio è una metafora profonda e scaring di quella parola che mi, che ci definisce, ovvero la contingenza, nome inusuale oggi per indicare la nostra radicale e inesorabile finitezza. Il senso della contingenza espresso insuperabilmente (a mio modesto parere) dalle parole dei poeti. Solo due esempi che sono notissimi: i brevi ma straordinariamente efficaci versi di Quasimodo: "Ognuno sta solo sul cuor della terra, /trafitto da un raggio di sole:/ed è subito sera"; parole dove il senso profondo della contingenza si unisce al suo corollario, la solitudine! E che esprimono un aspetto: la rapidità con cui tutto si consuma quasi senza accorgersene o, per dirla con le parole della sapienza popolare, la vita è come una fumata di sigaretta, dura poco e te ne accorgi che sta per finire solo quando è ormai andata. Accanto a Quasimodo gli ancor più noti frappants versi di Ungaretti: "Si sta come /d'autunno /sugli alberi /le foglie", parole che ci dicono un altro aspetto della contingenza ovvero la precarietà della nostra vita, il fatto che basta davvero poco perché cessiamo di esistere, proprio come basta una folata di vento - quasi non te ne accorgi - perché la foglia cada, la vita finisca. Ed è vero, il primo grande senso della contingenza è la brevità della vita, il fatto che non è mai abbastanza, che è precaria nonostante ci crediamo eterni ed invincibili cercando un corpo meccanico per vincere la morte (qualcuno ricorderà il cartone animato Galaxy Express 999) oppure cercando in tutti i modi di diventare master of death come il mago della saga che cerca di nascondersi dalla morte (mediante l'invisibility cloak), perché solo così - non certo provando ad umiliarla con il potere o il voler riportare indietro i morti - si può non sfuggire alla morte ma almeno impedire che la sua venuta sia l'evento tragico dell'esistenza. Essere contingenti vuol dire riconoscere che oggi ci siamo ma come non c'eravamo prima di nascere così non ci saremo più. Ma c'è un altro aspetto della contingenza, ovvero il fatto che puoi essere chiunque, puoi fare le cose più eccelse, puoi cioè fare la differenza ma questo tuo fare la differenza a sua volta non farà la differenza perché il mondo, la vita, tutto procede senza di te e come se tu non fossi mai esistito. Una volta una persona a me molto vicina pochi giorni dopo la morte del marito mi disse: "sembra come se non fosse mai esistito". Di primo acchito reagii con quasi l'impressione sembra una cosa assurda soprattutto per la tempistica, perché magari nel tempo successivo alla morte di una persona con cui si è condivisa una vita, si è quasi sopraffatti dai ricordi, tutto parla di lui in ogni angolo della casa o della vita... Eppure mia madre (sì, era lei!) aveva detto una cosa vera. Non intendeva non riconoscere il dolore per un'assenza ma prendere atto del fatto che tutto riprende il suo corso, tutto va avanti senza di te, come se tu non fossi mai esistito. La contingenza è anche questo: la tua irrilevanza nella realtà cosmica che non si preoccupa di te, che mi fa pensare alla povera e accorata protesta dell'Islandese verso la natura nell'operetta morale di Leopardi a cui risponde la natura limitandosi a ricordare che "quest'universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione", per cui noi siamo un dettaglio che è del tutto indifferente a qualcosa che si muove e sussiste non solo senza di te ma come se tu non ci fosse mai stato. Viviamo come se non dovessimo mai morire, moriamo come se non fossimo mai esistiti!

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