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Dialogo di Malambruno e di Farfarello
Tormentato dall'infelicità, che è quanto meno corrisponde alla natura del desiderio dell'uomo, Malambruno invoca l'aiuto degli inferi per riuscire in quello in cui lui, pur volendo, non può riuscire: la soddisfazione della domanda, cioè l'accadere della felicità, fosse anche per un istante solo: "fammi felice per un momento di tempo". Non si scompone Farfarello quando viene evocato da Malambruno che gli chiede di esaudire un suo desiderio, e conoscendo fin troppo bene gli uomini e quello che ordinariamente ricercano, elenca tutto ciò che può procurare al disperato Malambruno: nobiltà, ricchezze, potere, donne, onori e buona fortuna. Malambruno non è uno sprovveduto, è un uomo vissuto e sa bene che non sono queste cose in grado di riempire il vero desiderio dell'uomo. Fammi felice, anche solo per un momento solo. Malambruno percepisce l'onerosità della sua richiesta e allora, quasi prevenendo l'impossibilità di evadere la sua richiesta, è come se si accontentasse di delimitare ciò che per se stesso non può essere circoscritto, essendo la felicità per sua natura non di un attimo. La risposta di Farfarello è laconica, senza fronzoli; non ha molte parole da dire, sa che su questo punto non c'è da scherzare o da illudere nessuno e dunque taglia corto: "non posso". Il presentimento di Malambruno purtroppo si avvera; reagisce veemente e quasi violentemente, minaccia di uccidere il diavoletto, chiede che di questa cosa così grande se ne occupi il capo in persona e se lui non bastasse tutte le potenze demoniache, ma l'esito non può cambiare: "tu mi puoi meglio ammazzare, che non io contentarti di quello che tu domandi". Dinanzi alla sconsolata constatazione dell'inevadibilità della sua richiesta, Malambruno abbassa il tiro; non potendogli Farfarello procurare la felicità che almeno lo liberi dall'infelicità. Il desiderio dell'uomo è essere felice e non essere infelice, ma se essere felice non è possibile che almeno sia rimossa l'infelicità. Eppure per rimuovere l'infelicità bisognerebbe cancellare il desiderio della felicità; ma siccome questo è connaturale all'uomo, solo se l'uomo cessasse di esistere cesserebbe di cercare la felicità e quindi di essere infelice. L'uomo non può "non amarsi supremamente" poiché questo amore, questo desiderio, questa ricerca della felicità è inestirpabile. Se dici uomo dici ricerca della felicità e infelicità, poiché la felicità è la cosa più cercata e più negata. Il circolo è senza scampo, il labirinto senza uscita: proprio la cosa che è negata, quella l'uomo più cerca. Egli è un essere frustrato e disperato perché rispetto alla felicità inarrivabile è in gioco non un aspetto della vita ma la vita tutta intera. Ci aiuta a capire questo aspetto decisivo quanto il poeta aveva detto nello Zibaldone a proposito della ricerca del piacere. Il desiderio naturale della felicità/piacere è sproporzionato rispetto a quello che l'uomo può ottenere. Infatti, tale desiderio è infinto mentre l'uomo, e con lui ogni altro ente vivente, è finito. Essendo sconfinato rispetto agli oggetti finiti, l'uomo non può riempire la domanda, poiché occorrerebbe qualcosa di infinito che però non esiste tra esseri finiti. Ecco il tormento di Sisifo dell'infelicità da cui solo la morte vera o quella apparente (come la perdita momentanea della coscienza) può liberarci. Chiusi in un cerchio da cui non si può uscire, che definisce la vita, la conseguenza è quasi necessaria: poiché il non essere infelici è già meglio che essere infelici, "non vivere è sempre meglio del vivere", se vivere significa infelicità.
C'è un paradosso, anzi una contraddizione nell'uomo. Vogliamo essere felici e questo desiderio è ineliminabile (solo la morte lo cancella), ma esso diventa, in una sorta di terribile contrappasso, la ragione della nostra infelicità. E così l'uomo per il fatto stesso che esistendo desidera il piacere, cioè la felicità, secondo una misura infinita, si condanna all'infelicità, si autorende la vita un inferno (senza poter fare diversamente). La tendenza al piacere, ossia alla felicità, non ha limiti, è infinito per durata ed estensione, e di conseguenza l'uomo non è mai pago dei piaceri/felicità che può conseguire, i quali, non potendo che essere circoscritti nel tempo e nello spazio, non corrispondono, non riempiono la domanda. È il montaliano "tutto grida più in là". Desiderare il piacere/felicità è in noi sostanziale, ci definisce ontologicamente al punto che "l'uomo non esisterebbe se non provasse questo desiderio" (Zib 165). Tutto nella vita si logora e dunque è inadeguato rispetto al desiderio il quale non viene smorzato dal cumularsi di oggetti o esperienze, perché la domanda rimane pungolo, appunto, logorante. Tanto tragica e pietosa è la condizione umana che la stessa natura, ora non più indifferente, con la sua "gran misericordia e magistero" non potendo privare l'uomo dell'amore del piacere, né potendogli procurare piaceri reali e infiniti, ha cercato di distrarlo e confonderlo con le illusioni e con l'immensa varietà delle cose. Una vita vivibile, per certi versi, è una vita distratta, in cui ci si sforza di allontanarsi quanto più possibile da quel tormento. Ma la distrazione non può essere infinita o eterna, essa è solo un palliativo ma incapace di non rimandarci a quel senso di nullità del tutto che è una sola cosa con la nostra infelicità: nullità del tutto (e non solo mia) poiché la mia felicità è il problema del mondo, e se la realtà non è in grado di sostenere e compiere quello che è il mio bisogno, allora è come se perdesse qualunque significato, è come se fosse "nulla".
La conclusione leopardiana sembra la dedotta e lapalissiana conseguenza di un quadro fin troppo chiaro per l'uomo: il non viere è meglio del vivere poiché non c'è vita senza felicità e non si può vivere per di meno della ricerca della propria felicità. Nel poeta la felicità è negata poiché l'uomo non può attingerla e la realtà con la sua strutturale finitezza non può darla anche se lo volesse. Solo dall'infinito può provenire qualcosa d'infinito...Commenti
Johnc4 17 Febbraio 2017
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interessantissimo argomento molto buonoLascia un commento
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Claudia 30 Ottobre 2009
Bel discorso