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Quale dolore fa male di piu'? Quello fisico o quello "interiore"?

Mi sono spesso chiesto che cosa facesse male di più, se il dolore fisico o se il dolore “interiore” (psichico o spirituale che lo si voglia chiamare). Avevo sempre pensato che il più terribile fosse il primo, in considerazione del fatto che mentre ho spesso sofferto “interiormente” nella mia (breve) vita, non mi era mai capitato seriamente di soffrire fisicamente e pensando ai malati terminali e a tutti coloro che devono fare i conti con il dolore fisico ne ho sempre avuto paura. Bisogna dire che il dolore è una cosa soggettiva perché ognuno di noi, credo, anche fisicamente ha un tasso di sopportazione del dolore molto personale per cui ciò che a uno può sembrare insopportabile ad un altro invece risulta quasi normale. Lo stesso dicasi per il dolore “interiore”; una persona più sensibile (magari un’artista) oppure esistenzialmente più impegnata o costantemente tesa a chiedersi il senso di quello che accade, soffrirà di più nel suo intimo se, non so, qualcuno lo tradisce, le cose gli sembrano insignificanti o non si senta felice nella vita. Sta di fatto che dopo l’esperienza dell’incidente e l’aver fatto un primo vero approccio con il dolore fisico un po’ mi sono ricreduto; si tratta solo della mia esperienza che non può avere valore universale né può essere estesa a situazioni diverse quanto a persone e circostanze. Certo ritrovarsi con il bacino rotto, la spalla rotta ed essere costretti a muoversi perché nessuno se n’è accorto non è il massimo, eppure ripensando a quei giorni di prova dal punto di vista fisico, mi accorgo che ho sofferto di più in altri momenti, quando ho incontrato difficoltà enormi nei rapporti con qualche persona, o ai tempi del seminario o nella fatica perché alcune amicizie si erano incrinate o improvvisamente erano finite. Sono stato aiutato a ridimensionare il mio dolore fisico quando ho capito bene quello che avevo e sapevo che era questione di giorni di paziente sopportazione; te ne stai immobile senza pensare a niente ed attendi a volte pazientemente altre volte facendolo pesare a chi hai la fortuna ti possa stare a fianco ed assisterti. Quando invece soffri per qualcosa che non riesci a gestire, che è legato a fattori imprevedibili e incalcolabili, come in ogni esperienza umana, allora è un’altra cosa, allora veramente ti si toglie l’appetito e stai male. In questo strano e un po’ masochistico confronto si salva il fisico. Ma, del resto, non è così sempre nella vita? Può dal fisico venire quello che più ci fa gioire o gemere di dolore? È solo uno spunto, so bene che la realtà è sempre più complicata delle semplificazioni più o meno riuscite che ne possiamo dare.

Commenti

Alepy 21 Marzo 2008

Non, so.  Ho cercato di fare la classifica, ma non ci riesco.

E allora mi chiedo: perché non ci riesco? Analizzando i due dolori, sia dal punto di vista delle esperienze personali, sia tentando, per quanto è possibile, di guardare la questione dall'alto, non riesco a risolvermi in una scelta precisa. Per valutare le cose con chiarezza, si dovrebbero mettere sullo stesso piano una davanti all'altra, due esperienze di dolore, una fisica e una interiore, che nel loro impatto hanno uno stesso livello. Chiarisco: non è pensabile valutare il confronto tra un braccio rotto e il dolore per l'allontanamento di un amico, come allo stesso modo sono inconfrontabili il dolore per un incidente e quello per la sconfitta delle ferrari al gp in australia (a parte che io tifo alonso...).

Ecco forse il perché non riesco a farlo: non credo che siano oggetti confrontabili, anche a parità di "livello" (se in teoria fosse possibile misurarlo) nel loro ambito.

Beh, una non-risposta come questa è un po' comoda, forse, e in effetti ci possono essere altre sfumature...

Ad esempio, consideriamo per un attimo il fattore tempo: i due dolori (speriamo) finiscono, ad un certo punto. Ma mentre una riabilitazione fisica è pianificabile e deterministica, la "riabilitazione" di una ferita dell'animo e certamente più problematica ma oltre a riabilitarti può fortificarti. In quest'ottica, il dolore interiore supera quello fisico.

D'altro canto, mentre è difficile (anche se non impossibile, in casi estremi) che il dolore interiore provochi anche un forte dolore fisico (non mi riferisco a malessere o depressione, quelli sono interiori), può succedere invece che un trauma fisico possa causare un dolore interiore, ad esempio (per esperienza personale) l'impossibilità di fare delle cose che fino a un dato giorno facevano parte proprio di te, più che della tua vita, e che da un giorno all'altro hai dovuto abbandonare. Questa partita la vince il dolore fisico, quindi.

Questi pensieri, ovviamente, si sgretolano quando penso al dolore fisico di un malato terminale, o a chi, privato anche della possibilità di muoversi o di conumicare, non può nemmeno urlarlo, il suo dolore, oppure quando penso al dolore per la perdita di una persona che ami. Non ci sono classifiche, non si può immaginare, non sono in grado.

 

fede67 5 Aprile 2008

chissà se esiste  un diaframma che separa il dolore psichico e quello fisico o forse non accade che siano interconnessi tanto da comunicare l'uno attraverso l'altro, l'uno per mezzo dell'altro, il nostro stato di creatura fragile e determinata da ogni lato dalla finitudine? non si dà forse che il dolore fisico divenga psichico e quello psichico fisico quantomeno nella dinamica relazionale dove non esiste il mio  o il tuo dolore ma il nostro, quello di chi soffre e di chi sta accanto alla sofferenza(qualunque sofferenza)? questa esperienza l'ho fatta da bambina quando il primo immenso dolore ha squarciato il tempo della mia vita con la crudele realtà della  malattia terminale. se ripenso agli occhi di quel dolore, ai miei che guardavano impotenti l'impotenza dei suoi, ricordo che in me si faceva spazio l'idea, inconscia certamente ,non verbalizzata eppure chiara, dell'esistenza del dolore universale che si manifestava in quel rapporto disperato fra me e lei, un rapporto  che non si arrendeva, (e continuava a sperare e a credere) all'ultima parola su quella giovane vita,la sua e la mia, a quella vita che voleva vivere e che di giorno in giorno invece doveva arrendersi al nulla che avanzava, il nulla che presto l'avrebbe accolta  fra le sue braccia e quello che sarenbbe rimasto fra le mie mani quando non avrei più potuto abbracciare se non la sua assenza. il dolore stava nel nostro guardarci negli occhi, ed era il dolore nostro, un dolore declinato nella forme della sua sofferenza fisica e della mia psichica e spirituale. ecco, credo che ogni dolore, grande o piccolo, fisico o psichico, porti in sè questa verità: siamo legati l'uno all'altro dal filo tenace e invisibile della vita che ci è stata donata, è la medesima vita che soffre, per questo l'indifferenza la chiusura nei confronti dell'altro che soffre ci portano a morire dentro perchè misteriosamente chiudendoci al dolore, nell'illusione di preservarci da esso, rifiutiamo la nostra stessa vita che è tale solo nella relazione,(nella gioia e nel dolore) nell'incontro, nel respiro che passa dall'uno all'altro, senza sosta, senza fine.

ogni più piccola ferita curata è un gesto che sana, che salva la storia dell'umanità, un gesto che guarisce il dolore del mondo, la speranza che questo sia vero, che la presenza, il restare nonostante il dolore, dentro il dolore e accanto al dolore è in grado di rivelare al cuore che non è vana la speranza e che non sarà il nulla ma il Tutto ad accogliere il nostro cammino.

 

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