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A partire da “Centochiodi” di Ermanno Olmi
Di recente è stato distribuito nelle sale l’ultimo film di Ermanno Olmi dal titolo “Centochiodi”. Premetto che non sono ancora andato a vederlo anche se mi sono ripromesso di farlo perché Olmi è un grande regista, perché la tematica è affascinante nonostante sia stato scelto un attore che di profondo e serio credo abbia ben poco (ma questi sono affari del regista). Ho notato che si è fatto un grande parlare tra, come al solito, “denigratori a prescindere” e “celebratori comunque” i primi pronti a rifiutare il film perché magari perché troppo difficilmente assimilabile alla vulgata tradizionale su Gesù (credenti e atei devoti), i secondi altrettanto pronti a vedervi un grande film solo perché l’immagine di Gesù che ci presenta è altra da quella della Chiesa; non mancano poi quelli che vogliono assumere una linea mediana dicendo che quel Gesù è proprio il Gesù di cui parla papa Benedetto. Così “Panorama” dedica una copertina e diverse pagine; insomma accade qualcosa di simile a quanto accaduto con il libro di Augias-Pesce che la gente compra senza leggere, che gli studiosi bocciano perché incompleto ma che Repubblica (e simili) celebrano perché bocciato dal Vaticano. Chissà se Augias ha mai letto qualcosa del Meier, di R. Brown, di J. Dunn, e si potrebbe continuare.
Comunque la reazione al film di Olmi era prevedibile; per chi Gesù è soltanto il maestro di morale (e di una morale che non può essere quella della chiesa ma sarà sicuramente liberale, progressista, invertitamene agostiniana nel senso che “se fai quello che vuoi allora vuol dire che ami”), una figura esemplare (nel senso di esempio) come quella del film di Olmi è il massimo; per chi non ha una domanda di salvezza, un bisogno reale di significato, l’affermazione dell’inutilità della risposta fatta perfino da Gesù è il massimo della celebrazione.
Ma sappiamo tutti che nella vita non è così, che tante cose narrate anche nel film sono solo slogan (come la storia dei libri crocifissi, che ci ricorda che il Verbo si è fatto carne e non carta ma che ingiustamente dimentica come senza i libri non c’è civiltà, non c’è Occidente). Una sola cosa mi colpisce e fa riflettere; è la risposta che il protagonista dà al prete quando dice a proposito del giorno del giudizio universale : “In quel giorno sarà Dio a dover rendere conto di tutta la sofferenza del mondo”. Non so fino in fondo come, ma in parte è vero. Di tanta sofferenza del mondo non deve rendere conto Dio ma gli uomini; al di là del senso di pietà il più delle volte siamo noi colpevoli. Ricordo quando crollò la scuola di San Giuliano (paese della mia diocesi), qualcuno (forse proprio un prete) esclamò: “Dov’era Dio”?, una sorta di j’accuse, dimenticando che la colpa apparteneva all’imperizia degli uomini e delle loro insensate scelte; e lo stesso quando ci sono alluvioni e tsunami, quando le case sono distrutte e gli uomini muoiono perché lì non dovevano costruire e abitare; ma si sa che nella vita noi speriamo sempre di farla franca; e così con le stragi del sabato sera, tutti a vivere commozione e pietà e invece a non ricordare che se vai a 150Km/h mezzo ubriaco sul fondo bagnato alla fine ti schianti e non puoi compiere un gesto simile solo sperando che a te non capiti lo stesso esito.
Ma c’è realmente un male che zittisce; è la sofferenza degli innocenti, dei bambini (come ci ricorda Dostoevskij). Racconto un episodio che mi spinse ad usar due anni or sono la stessa espressione del film. Ero ad Avellino a celebrare il funerale di un ragazzo di 27 anni che dopo cinque anni di calvario morì a causa di un osteosarcoma iliaco. In quella circostanza, rivolgendomi soprattutto alla madre, dissi che ci sono eventi nella vita di cui Dio alla fine di tutto ci dovrà rendere conto; Egli, se c’è, ci dovrà delle spiegazioni. Probabilmente le ha già date nella croce di Cristo facendo sua la sofferenza dei figli, il dolore del mondo, mostrandosi un Dio incarnato fino in fondo perché ha condiviso anche la morte, ma certo noi facciamo fatica a capire come possa esserci Lui ed anche il male, il dolore innocente, quello senza colpa; e questa idea della debolezza che vince il male l’avvertiamo come vera ma non riesce a convincere. Solo alla fine sarà tolto il velo.
Dio e il male, la libertà e il male, la colpa e la responsabilità, l’impotenza e la furia del male, chi più ne ha più ne metta. La discussione è aperta.
Commenti
nanni 14 Maggio 2007
ok per la scelleratezza dell'uomo che crede di poter tutto e poi nasconde i propri errori dietro infiniti "j'accuse", ma quando uno tsunami colpisce una popolazione che non ha già cibo per sopravviver al quotidiano,piuttosto che magari paesi come si dice "altamente industrializzati" l'errore dell'uomo dov'è? certo non che la vita umana sia meno preziosa dove c'è più benessere, ma aggiungere infinita sofferenza là dove si è nati e cresciuti nella sofferenza sembra davvero un capriccio divino...
daniele 17 Maggio 2007
Mi piace il commento di nanni però vorrei fare notare che sta cosa del "piove sul bagnato" è vera fino ad un certo punto; basti pesnare al terremoto di Lisbona raccontato da Voltaire nel Candide per prendere in giro quelli che credono nella provvidenza; oppure, più indietro, a Pompei e il Vesuvio; oppure ai terremoti spaventosi in Giappone o al prossimo Big One in California, solo che qui non ci sono devastazioni perchè le case sono costruite bene e in grado di resistere. il problema secondo me è che di fronte al male non c'è una risposta; il male ci fa soffrire perchè non ci corrisponde ma in fondo fa parte della realtà. Possiamo essere leopardiani: vi ricordate l'inizio del Dialogo della Natura e di un'anima? O il Cantico del Gallo Silvestre? Male e infelicità sono parte della vita, e dobbiamo farci i conti senza cercare sempre necessarie spiegazioni accusando o giustificando. E' il mondo reale dove bene e male sono insieme; lo so che per vivere ci vuole un fisico bestiale ma tant'è!
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Pierluigi 12 Maggio 2007
"Allora una mamma,
vicina al suo bambino morto,
offre a Dio il gemito
della sua rassegnata sofferenza,
e la Voce che ha gettato il sole nello spazio
come una mano sparge il grano,
la Voce che fa tremare i mondi,
le mormora dolcemente:
«Perdonami, un giorno saprai,
capirai e mi ringrazierai:
ora aspetto da te il perdono,
perdonami»".
G. BERNANOS, Un uomo solo, V. VOLPINI (cur.), La Locusta, Vicenza 1972, p. 173.